Ministero condannato: maxi risarcimento del danno nei confronti di un uomo
Risarcimento danni vaccino. Con la recentissima sentenza n. 696/2021, la Corte di Cassazione condanna il Ministero della Salute al risarcimento del danno nei confronti di un uomo rimasto paraplegico dopo essersi sottoposto, nel lontano 1978, alla vaccinazione antipoliomielitica.
A seguito di diagnosi da parte dell’ (allora) Usl competente di “paraparesi spastica con impossibilità alla deambulazione autonoma”, il Ministero della Salute riconosceva il nesso di causalità tra la vaccinazione antipoliomielitica e la patologia e nel 2003 il ricorrente otteneva il riconoscimento dei benefici di cui alla L. n. 210/1992.
La predetta legge riconosce, infatti, un indennizzo a favore dei soggetti che risultino danneggiati in seguito a vaccinazioni obbligatorie, trasfusione o somministrazione di emoderivati.
La Suprema Corte ha ritenuto che fosse riconosciuta dalla comunità scientifica, all’epoca della vaccinazione dell’uomo, l’astratta pericolosità di tale tipo di vaccino attenuato (Sabin) e che, quindi, il Ministero della Salute avrebbe dovuto vietare tale tipo di vaccinazione o consentirla solo con modalità idonee a limitare i vizi ad essa connessi. Al contrario, il Ministero non aveva disposto specifiche modalità per la somministrazione del vaccino Sabin e, pertanto, è stata riconosciuta la responsabilità dello stesso.
Risarcimento danni vaccino
Una volta riconosciuta la responsabilità del Ministero, la Corte ha quantificato il danno biologico subito pari al 100% ed ha liquidato il danno utilizzando le Tabelle di Milano (di cui abbiamo parlato qui), quantificandolo in € 824.149,00, oltre interessi legali.
Peraltro, nel caso di specie, non è neppure stato scomputato l’indennizzo ex L. n. 210/1992 (in base al principio della cd. compensatio), in quanto il Ministero – pur avendo richiesto la detrazione dell’importo corrisposto – non ha però ottemperato all’onere della prova su di esso gravante ex art. 2697 c.c.
Infatti, secondo consolidata e granitica giurisprudenza in materia, la compensazione non può operare qualora l’importo dell’indennizzo non sia determinato né determinabile né vi sia prova del suo avvenuto pagamento, in quanto l’astratta spettanza della somma non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso ammontare da portare in decurtazione del risarcimento (ex multis Cass. Civ. n. 2778/2019).
Avv. Elisa Ferrarello
Studio Legale Frisani